Il Disturbo Bipolare

Breve corso di igiene mentale - 6° lezione

𝗜𝗹 𝗗𝗶𝘀𝘁𝘂𝗿𝗯𝗼 𝗕𝗶𝗽𝗼𝗹𝗮𝗿𝗲 𝗲̀ 𝘂𝗻 𝗱𝗶𝘀𝗮𝗴𝗶𝗼 𝗺𝗲𝗻𝘁𝗮𝗹𝗲 𝗰𝗮𝗿𝗮𝘁𝘁𝗲𝗿𝗶𝘇𝘇𝗮𝘁𝗼 𝗱𝗮 𝘂𝗻’𝗮𝗹𝘁𝗲𝗿𝗻𝗮𝗻𝘇𝗮 𝗱𝗶 𝘀𝘁𝗮𝘁𝗶 𝗱𝗶 𝗱𝗲𝗽𝗿𝗲𝘀𝘀𝗶𝗼𝗻𝗲 𝗲 𝘀𝘁𝗮𝘁𝗶 𝗱𝗶 𝗲𝗰𝗰𝗶𝘁𝗮𝗺𝗲𝗻𝘁𝗼. Il malato attraversa periodi di profonda apatia, tristezza, perdita di senso e piacere di vivere, idee suicide (a volta realizzate) a cui si associano sintomi di vario tipo, come crisi di rabbia, insonnia, ansia. Poi, senza soluzione di continuità, il suo umore muta rapidamente nell’opposto: si sente pieno di energie, di idee, vitalità, diventa iperattivo e intraprende azioni rischiose (sportive, economiche, sociali), può iniziare a bere troppo o far uso di sostanze eccitanti come cocaina e derivati delle anfetamine. In questi periodi di eccitazione è spesso insonne e, per quanto lui sostenga di sentirsi benissimo, trasmette a chi gli sta vicino (e ha le antenne un po’ allenate) un senso di tragica lontananza, che ricorda un po’ Willy Loman, l’ interprete di “𝘔𝘰𝘳𝘵𝘦 𝘥𝘪 𝘶𝘯 𝘤𝘰𝘮𝘮𝘦𝘴𝘴𝘰 𝘷𝘪𝘢𝘨𝘨𝘪𝘢𝘵𝘰𝘳𝘦" (1949) di Arthur Miller.

𝗜𝗹 𝗗𝗶𝘀𝘁𝘂𝗿𝗯𝗼 𝗕𝗶𝗽𝗼𝗹𝗮𝗿𝗲 𝗳𝘂 𝗽𝗲𝗿 𝗹𝗮 𝗽𝗿𝗶𝗺𝗮 𝘃𝗼𝗹𝘁𝗮 𝗱𝗲𝘀𝗰𝗿𝗶𝘁𝘁𝗼 𝘃𝗲𝗿𝘀𝗼 𝗹𝗮 𝗳𝗶𝗻𝗲 𝗱𝗲𝗹 𝟭𝟴𝟬𝟬 𝗱𝗮 𝘂𝗻𝗼 𝗱𝗲𝗶 𝗽𝗮𝗱𝗿𝗶 𝗱𝗲𝗹𝗹𝗮 𝗽𝘀𝗶𝗰𝗵𝗶𝗮𝘁𝗿𝗶𝗮 𝗺𝗼𝗱𝗲𝗿𝗻𝗮, 𝗘𝗺𝗶𝗹 𝗞𝗿𝗮𝗲𝗽𝗲𝗹𝗶𝗻, che lo chiamò “psicosi maniaco-depressiva” e fu conosciuto con questa etichetta sino all’inizio degli anni 1960. La psicosi maniaco-depressiva era considerata una malattia molto grave, una sorta di anello di congiunzione tra le forme più gravi di depressione e la schizofrenia. Si trattava di una malattia che spesso comportava il ricovero in ospedale. Nella seconda metà del Novecento, il termine “psicosi maniaco-depressiva” cadde, però, progressivamente in disuso e fu sostituito da quello di “disturbo bipolare”. Quest’ultimo si affermò definitivamente nel 2000, con la quinta edizione del Diagnostic and StatisticaI Manual (DSM), dell’associazione psichiatrica americana. I confini della diagnosi di disturbo bipolare furono notevolmente ampliati rispetto la “psicosi maniaco-depressiva”, includendo anche fluttuazioni dell’umore molto meno drammatiche e individui affetti da disturbi più lievi, in grado di condurre una vita quasi normale e, a volte, persino di successo.

𝗜𝗹 𝗱𝗶𝘀𝘁𝘂𝗿𝗯𝗼 𝗯𝗶𝗽𝗼𝗹𝗮𝗿𝗲 𝗲̀ 𝘀𝘁𝗮𝘁𝗼 𝗮𝘀𝘀𝗼𝗰𝗶𝗮𝘁𝗼 𝗮 𝗰𝗲𝗹𝗲𝗯𝗿𝗶𝘁𝗮̀ 𝗱𝗲𝗹 𝗽𝗮𝘀𝘀𝗮𝘁𝗼 𝗲 𝗱𝗲𝗹 𝗽𝗿𝗲𝘀𝗲𝗻𝘁𝗲 𝗲 𝗹𝗼 𝘀𝗶 𝗲̀ 𝗰𝗼𝗹𝗹𝗲𝗴𝗮𝘁𝗼 𝗮𝗹𝗹𝗮 𝗰𝗿𝗲𝗮𝘁𝗶𝘃𝗶𝘁𝗮̀ 𝗮𝗿𝘁𝗶𝘀𝘁𝗶𝗰𝗮 𝗲 𝗮𝗹𝗹’𝗶𝗻𝘁𝗲𝗹𝗹𝗶𝗴𝗲𝗻𝘇𝗮. Trasmissioni televisive e film sono stati dedicati ai disturbi bipolari; personaggi del mondo dello spettacolo hanno rivelato di soffrire di questa malattia, inclusi Mel Gibson, Jim Carey, Jean Claude Van Damme, Catherine Zeta-Jones, Selena Gomez e molti altri ancora; anche personaggi del passato sono stati retrospettivamente diagnosticati affetti da disturbo bipolare, come Winston Churchill, Virginia Woolf, Vincent Van Gogh, Ludwig Van Beethoven, Caravaggio e Michelangelo. Oggi un numero crescente di persone, specialmente aspiranti celebrità, sta cominciato addirittura a cercare questa diagnosi, quasi fosse segno di un più elevato status intellettuale e sociale.

𝗖𝗼𝗺𝗲 𝗻𝗲𝗹𝗹𝗲 𝗮𝗹𝘁𝗿𝗲 𝗹𝗲𝘇𝗶𝗼𝗻𝗶 𝗱𝗶 𝗾𝘂𝗲𝘀𝘁𝗼 𝗯𝗿𝗲𝘃𝗲 𝗰𝗼𝗿𝘀𝗼, 𝗻𝗼𝗻 𝗺𝗶 𝗮𝗱𝗱𝗲𝗻𝘁𝗿𝗲𝗿𝗼̀ 𝗻𝗲𝗹𝗹𝗲 𝗰𝗮𝘂𝘀𝗲 𝗱𝗲𝗹 𝗱𝗶𝘀𝘁𝘂𝗿𝗯𝗼 𝗲 𝗻𝗲𝗹𝗹𝗲 𝘀𝗼𝘁𝘁𝗼𝗰𝗹𝗮𝘀𝘀𝗶 𝗶𝗻 𝗰𝘂𝗶 𝗼𝗴𝗴𝗶 𝗲̀ 𝗱𝗶𝘀𝘁𝗶𝗻𝘁𝗼. Sono temi che ci porterebbero lontani dallo scopo eminentemente pratico che mi prefiggo. Mi limiterò, quindi, a tre rapide avvertenze.

𝗣𝗥𝗜𝗠𝗔 𝗔𝗩𝗩𝗘𝗥𝗧𝗘𝗡𝗭𝗔: 𝗼𝗴𝗴𝗶 𝗶𝗹 𝗱𝗶𝘀𝘁𝘂𝗿𝗯𝗼 𝗯𝗶𝗽𝗼𝗹𝗮𝗿𝗲 𝗲̀ 𝗱𝗶 “𝗺𝗼𝗱𝗮”. A ciò si aggiunga che l’industria farmaceutica ne ha fatto una sorta di testimonial per vantare l’utilità degli psicofarmaci. La prima avvertenza è quindi, come davanti a ogni moda, di avere grande cautela. Si cerchi sempre anche un secondo parere prima di accettare una diagnosi di “disturbo bipolare”, soprattutto nelle forme lievi o quelle in cui l’alternanza tra periodi di depressione ed eccitazione non è completamente chiara ed evidente.

𝗦𝗘𝗖𝗢𝗡𝗗𝗔 𝗔𝗩𝗩𝗘𝗥𝗧𝗘𝗡𝗭𝗔: 𝗦𝗲 𝗹𝗮 𝗱𝗶𝗮𝗴𝗻𝗼𝘀𝗶 𝗲̀ 𝗰𝗼𝗿𝗿𝗲𝘁𝘁𝗮, 𝗮𝗹𝗹𝗼𝗿𝗮 𝗯𝗶𝘀𝗼𝗴𝗻𝗮 𝗮𝘃𝗲𝗿𝗲 𝗹𝗮 𝗰𝗼𝗴𝗻𝗶𝘇𝗶𝗼𝗻𝗲 𝗰𝗵𝗲 𝗰𝗶 𝘀𝗶 𝘁𝗿𝗼𝘃𝗮 𝗱𝗶𝗻𝗮𝗻𝘇𝗶 𝗮 𝘂𝗻𝗮 𝗺𝗮𝗹𝗮𝘁𝘁𝗶𝗮 𝗺𝗲𝗻𝘁𝗮𝗹𝗲 𝗴𝗿𝗮𝘃𝗲, che deve essere affrontata con serietà e decisione da uno specialista. Il caposaldo dell’intervento è farmacologico: questo è un disturbo che non può essere curato senza ricorrere anche a farmaci. Questi farmaci, soprattutto il Litio, non sono molto maneggevoli. Vanno presi rispettando scupolosamente la prescrizione e sino a quando il medico lo riterrà opportuno, con la consapevolezza che c’è anche la possibilità che debbano essere presi a vita.

𝗧𝗘𝗥𝗭𝗔 𝗔𝗩𝗩𝗘𝗥𝗧𝗘𝗡𝗭𝗔: 𝗹𝗮 𝗽𝘀𝗶𝗰𝗼𝘁𝗲𝗿𝗮𝗽𝗶𝗮 𝗲̀ 𝗳𝗼𝗻𝗱𝗮𝗺𝗲𝗻𝘁𝗮𝗹𝗲 𝗮𝗻𝗰𝗵𝗲 𝗻𝗲𝗹 “𝗱𝗶𝘀𝘁𝘂𝗿𝗯𝗼 𝗯𝗶𝗽𝗼𝗹𝗮𝗿𝗲” 𝗺𝗮 𝗲̀ 𝗿𝗮𝗿𝗮𝗺𝗲𝗻𝘁𝗲 𝗹’𝗶𝗻𝘁𝗲𝗿𝘃𝗲𝗻𝘁𝗼 𝗱𝗶 𝗽𝗿𝗶𝗺𝗮 𝗹𝗶𝗻𝗲𝗮. Nei periodi di depressione il malato è chiuso nella sua sofferenza e non è quasi mai disponibile ad aprirsi con uno psicoterapeuta, se non ripetendo le stesse lamentazioni stereotipate; nei periodi di euforia, percepisce solo sé stesso e i sentimenti grandezza e potenza che lo pervadono, diventando tetragono a qualsiasi intervento esterno.

𝗜𝗹 “𝗱𝗶𝘀𝘁𝘂𝗿𝗯𝗼 𝗯𝗶𝗽𝗼𝗹𝗮𝗿𝗲” 𝗲̀ 𝗹’𝘂𝗹𝘁𝗶𝗺𝗼 𝗴𝗿𝗮𝗱𝗶𝗻𝗼 𝗽𝗿𝗶𝗺𝗮 𝗰𝗵𝗲 𝗹𝗮 𝗱𝗲𝗽𝗿𝗲𝘀𝘀𝗶𝗼𝗻𝗲 𝘀𝗶 𝘁𝗿𝗮𝘀𝗳𝗼𝗿𝗺𝗶 𝗶𝗻 𝘂𝗻𝗮 𝗳𝗼𝗿𝗺𝗮 𝗱𝗶 𝗮𝗯𝗯𝗮𝗻𝗱𝗼𝗻𝗼 𝗰𝗮𝘁𝗮𝘁𝗼𝗻𝗶𝗰𝗼, è l’estremo tentativo di un malato di evitare di precipitare nell’agonia della morte mentale e, a volte, anche fisica: questo è il senso disperato delle esplosioni di eccitazione con cui cerca di reagire e difendersi. Bisogna che lo psicoterapeuta sappia cogliere il momento in cui i farmaci riescono a creare una fessura tra depressione ed eccitamento e a infilarsi in questo stretto spazio. Inutile dire che si tratta di una sfida assai difficile.

𝗟’𝗮𝗹𝘁𝗲𝗿𝗻𝗮𝘁𝗶𝘃𝗮 𝗲̀ 𝗾𝘂𝗲𝗹𝗹𝗮 𝗱𝗶 𝗹𝗮𝘀𝗰𝗶𝗮𝗿𝗲 𝗰𝗵𝗲 𝗹𝗮 𝘀𝗶𝘁𝘂𝗮𝘇𝗶𝗼𝗻𝗲 𝘀𝗶 𝗰𝗿𝗼𝗻𝗶𝗰𝗶𝘇𝘇𝗶, 𝘁𝗲𝗻𝗲𝗻𝗱𝗼𝗹𝗮 𝘀𝗼𝘁𝘁𝗼 𝗰𝗼𝗻𝘁𝗿𝗼𝗹𝗹𝗼 𝗰𝗼𝗻 𝗹’𝘂𝘀𝗼 𝗱𝗶 𝗽𝘀𝗶𝗰𝗼𝗳𝗮𝗿𝗺𝗮𝗰𝗶. Si tratta dell’opzione operata da molte istituzioni psichiatriche, la cui tollerabilità sociale e deontologica origina in gran parte dal fatto che coinvolge solo un piccolo numero di veri malati di “psicosi maniaco-depressiva” e riguarda, invece, un gran numero di pazienti la cui diagnosi di “disturbo bipolare” la si deve soprattutto alla pubblicità che ne hanno fatto Fedez e Alex Britti.