Breve corso di igiene mentale - video n.2
IL PRIMO VIDEO (DEDICATO AI DISTURBI D'ANSIA) DI QUESTO BREVE CORSO DI IGIENE MENTALE È SU YOUTUBE https://youtube.com/shorts/CZmaIqXeM0o?si=ZS8G1eSIDfqpH6El
𝗟'𝗮𝘁𝘁𝗮𝗰𝗰𝗼 𝗱𝗶 𝗽𝗮𝗻𝗶𝗰𝗼 𝗲̀ 𝘂𝗻𝗮 𝗰𝗿𝗶𝘀𝗶 𝗮𝗰𝘂𝘁𝗶𝘀𝘀𝗶𝗺𝗮 𝗱'𝗮𝗻𝘀𝗶𝗮 𝗱𝘂𝗿𝗮𝗻𝘁𝗲 𝗹𝗮 𝗾𝘂𝗮𝗹𝗲 𝗶𝗹 𝗺𝗮𝗹𝗮𝘁𝗼 𝗵𝗮 𝗹'𝗶𝗺𝗽𝗿𝗲𝘀𝘀𝗶𝗼𝗻𝗲 𝗱𝗶 𝗲𝘀𝘀𝗲𝗿𝗲 𝗶𝗻 𝗽𝘂𝗻𝘁𝗼 𝗱𝗶 𝗺𝗼𝗿𝘁𝗲, tanto che la maggior parte di questi pazienti finisce in un pronto soccorso, convinto di avere un infarto cardiaco. L'angoscia che sperimentano le persone durante un attacco di panico è così forte e profonda che nessun discorso razionale o evidenza clinica (esami di laboratorio, elettrocardiogramma, ecc.) riesce a tranquillizzarle. Una persona in preda a un attacco di panico è come un bimbo che si svegli terrorizzato nel cuore della notte.
𝗧𝗿𝗲 𝗰𝗼𝘀𝗲 𝗱𝗮 𝗳𝗮𝗿𝗲 𝗼 𝗻𝗼𝗻 𝗳𝗮𝗿𝗲.
𝗜𝗻𝗻𝗮𝗻𝘇𝗶𝘁𝘂𝘁𝘁𝗼, 𝗻𝗼𝗻 𝗽𝗲𝗿𝗱𝗲𝗿𝗲 𝘁𝗲𝗺𝗽𝗼 𝗻𝗲𝗹 𝗰𝗲𝗿𝗰𝗮𝗿𝗲 𝗱𝗶 𝗰𝗼𝗻𝘃𝗶𝗻𝗰𝗲𝗿𝗲 𝗿𝗮𝘇𝗶𝗼𝗻𝗮𝗹𝗺𝗲𝗻𝘁𝗲 𝗶𝗹 𝗺𝗮𝗹𝗮𝘁𝗼 che non sta per morire o, peggio, dargli una pacca sulla spalla dicendogli che non ha nulla. Non solo, così facendo, non si sarà lui di alcun aiuto, ma, per di più, ci si comporterà da sciocchi. Tra chi è in preda a un attacco di panico e chi lo rassicura, la persona davvero razionale è il primo. Chi tra i viventi può dirsi mai sicuro di essere vivo l'istante successivo? Certo non chi pretende di tranquillizzare l’altro.
𝗡𝗼𝗶, 𝗰𝗵𝗲 𝗮𝗹 𝗺𝗼𝗺𝗲𝗻𝘁𝗼 𝗻𝗼𝗻 𝘀𝗼𝗳𝗳𝗿𝗶𝗮𝗺𝗼 𝗱𝗶 𝗰𝗿𝗶𝘀𝗶 𝗱𝗶 𝗽𝗮𝗻𝗶𝗰𝗼, 𝘀𝗲𝗺𝗽𝗹𝗶𝗰𝗲𝗺𝗲𝗻𝘁𝗲 𝗰𝗶 𝘀𝗰𝗼𝗿𝗱𝗶𝗮𝗺𝗼 (cerchiamo di non pensare) la 𝘯𝘰̀𝘹 𝘱𝘦̀𝘳𝘱𝘦𝘵𝘶𝘢 che potrebbe avvolgerci in ogni istante (e quell’istante verrà e nessuno può escludere che sia già ora). Colui che precipita in una crisi di panico è travolto emotivamente da questa improvvisa consapevolezza. Come mai? Perché? Ci possono essere molte ragioni: alcune sono comuni a tutti i malati, altre sono, invece, specifiche per ciascuno. Ma discutere l’origine degli attacchi di panico esula dagli scopi di questo breve corso.
𝗖𝗶𝗼̀ 𝗰𝗵𝗲 𝗼𝗿𝗮 𝗰𝗼𝗻𝘁𝗮 𝗿𝗶𝗽𝗲𝘁𝗲𝗿𝗲 𝗲̀ 𝗰𝗵𝗲, 𝗮𝗹𝗹’𝗮𝗹𝗹𝘂𝗰𝗶𝗻𝗮𝘁𝗼 𝗿𝗮𝘇𝗶𝗼𝗰𝗶𝗻𝗶𝗼 𝗱𝗲𝗹 𝗺𝗮𝗹𝗮𝘁𝗼, 𝗻𝗼𝗻 𝘀𝗶 𝗱𝗲𝘃𝗼𝗻𝗼 𝗼𝗽𝗽𝗼𝗿𝗿𝗲 𝗿𝗮𝗴𝗶𝗼𝗻𝗮𝗺𝗲𝗻𝘁𝗶, ma solo tranquillizzarlo con il proprio tono di voce e gesti pacati e affettuosi, come si farebbe con un bimbo in preda a un attacco di 𝘱𝘢𝘷𝘰𝘳 𝘯𝘰𝘤𝘵𝘶𝘳𝘯𝘶𝘴, e, casomai, somministrargli una sostanza che gli doni un momentaneo oblio. Tutti i medici, con un po’ di esperienza in questo campo, sanno che una dose generosa di superalcolico è quasi sempre efficace per bloccare una crisi di panico. Il rischio, però, di "insegnare" al malato la via di fuga nell'alcol è troppo elevato per raccomandarla come pratica corrente: conviene, quindi, usare tranquillanti minori, come uno dei vari farmaci a base di benzodiazepine o analoghi, a volte farmacologicamente più vantaggiosi, oggi disponibili.
𝗨𝗻𝗮 𝘀𝗲𝗰𝗼𝗻𝗱𝗮 𝗿𝗮𝗰𝗰𝗼𝗺𝗮𝗻𝗱𝗮𝘇𝗶𝗼𝗻𝗲, 𝗶𝗺𝗽𝗼𝗿𝘁𝗮𝗻𝘁𝗲 𝗾𝘂𝗮𝗻𝘁𝗼 𝗲 𝗽𝗶𝘂̀ 𝗱𝗲𝗹𝗹𝗮 𝗽𝗿𝗶𝗺𝗮, 𝗲̀ 𝗰𝗵𝗲 𝗹'𝗶𝗻𝘁𝗲𝗿𝘃𝗲𝗻𝘁𝗼 𝗰𝘂𝗿𝗮𝘁𝗶𝘃𝗼 𝗱𝗶 𝗳𝗼𝗻𝗱𝗼 𝘀𝗶𝗮 𝗽𝗿𝗲𝗰𝗼𝗰𝗶𝘀𝘀𝗶𝗺𝗼, ancora più precoce che in tutti gli altri disturbi d’ansia. Questi pazienti, infatti, tendono a sviluppare molto rapidamente comportamenti di evitamento degli stimoli che associano allo scatenamento degli attacchi di panico. Le persone cominciano a evitare treni o aerei o ascensori o l’allontanarsi di casa anche poche decine di chilometri e così via. La loro vita si “restringe” progressivamente, si impediscono un numero sempre crescente di comportamenti e situazioni, pur di non soffrire di panico. Dopo dieci, venti, trenta, a volte persino quarant’anni di vita condotta in tal modo, diventa quasi impossibile restituire i malati a una vita normale.
𝗟𝗮 𝘁𝗲𝗿𝘇𝗮 𝗿𝗮𝗰𝗰𝗼𝗺𝗮𝗻𝗱𝗮𝘇𝗶𝗼𝗻𝗲 𝗿𝗶𝗴𝘂𝗮𝗿𝗱𝗮 𝗶𝗹 𝘁𝗶𝗽𝗼 𝗱𝗶 𝘁𝗲𝗿𝗮𝗽𝗶𝗮. 𝗦𝗶𝗰𝘂𝗿𝗮𝗺𝗲𝗻𝘁𝗲, 𝘂𝗻𝗮 𝘁𝗲𝗿𝗮𝗽𝗶𝗮 𝗳𝗮𝗿𝗺𝗮𝗰𝗼𝗹𝗼𝗴𝗶𝗰𝗮: oggi disponiamo di farmaci molto efficaci nel contrastare l’insorgere del panico, soprattutto se somministrati al primo manifestarsi della malattia. Purtroppo, non è raro che proprio coloro che soffrono di attacchi panico rifiutino l’uso di farmaci o non seguano le prescrizioni del medico (ad esempio, riducendo i dosaggi in modo del tutto arbitrario). Anche per migliorare l’aderenza alla terapia farmacologica, ma non solo, è quindi fondamentale che sin da subito la cura medica si associ a una psicoterapia. I farmaci non guariscono dalle ragioni che sottostanno agli attacchi di panico, aprono, però, uno spiraglio nel muro compatto della malattia, permettendo all’intervento psicologico, che è di durata più lunga, di agire. Bisogna che il malato sia consapevole che la remissione dei sintomi non equivale alla guarigione e che la guarigione richiede molto più tempo, altrimenti, ai primi miglioramenti sintomatologici, la persona si riterrà “guarita”, interromperà ogni cura (psicologica e farmacologica) e, pressoché inevitabilmente, ricomincerà a soffrire di attacchi di panico (o di disturbi ancora più gravi) nel giro di pochi anni, finendo per cronicizzarsi.
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