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  • Immagine del redattoreEmilio Mordini

QUANDO LA PSICOANALISI È LA CURA GIUSTA?

Aggiornamento: 24 ago 2022



Molte persone si rivolgono a chi cura i disturbi mentali e psicologici senza aver chiara la differenza tra le varie figure professionali: neurologo, psichiatra, psicologo, psicoterapeuta, psicoanalista e – più recentemente - una serie di professioni “esotiche”, dai nomi spesso inglesi, come il counselor o il mental couch. Ancora più difficile è districarsi tra le varie forme di cura anche perché non è raro che vi sia una sovrapposizione: un neurologo che fa lo psicoterapeuta, uno psichiatra che fa lo psicoanalista, uno psicologo che è anche mental couch, e così via. Non è detto che un paziente debba conoscere tutte queste distinzioni anche perché alcune di esse sono solo modi per cercare di caratterizzarsi in un mercato – quello dei trattamenti dei disagi mentali – in cui vi è grande concorrenza.


La prima differenza da considerare è se il terapeuta è o non è un medico. Soltanto i medici (tra cui gli psichiatri e i neurologi) hanno la possibilità di prescrivere farmaci e quindi di impostare una farmaco terapia. La seconda differenza riguarda la formazione come psicoterapeuta. Psicoterapia si definisce ogni forma di cura basata sulla parola e sulla relazione personale. Per praticare questo tipo di cura bisogna essersi formati in modo specifico, se no si finisce a fare due chiacchiere con il paziente, magari piacevoli per entrambi – malato e terapeuta – ma inutili o addirittura dannose. Oggi in Italia solo medici e psicologi possono essere anche psicoterapeuti. Quindi, riassumendo: tra tutti coloro che si occupano di salute mentale, gli psicoterapeuti sono persone formate a curare usando la parola e la relazione umana, essi comprendono sia medici sia psicologi; i medici, rispetto agli psicologi, possono anche prescrivere farmaci. I medici possono essere a loro volta specializzati in psichiatria o in neurologia, queste due specializzazioni conferiscono per legge anche la possibilità di esercitare la psicoterapia a prescindere da ogni formazione specifica (questo significa che conviene chiedere allo psichiatra o al neurologo se e dove abbia studiato psicoterapia). In questo quadro si inserisce la psicoanalisi che è una forma di psicoterapia.


La psicoanalisi differisce dalle altre forme di psicoterapia perché ha l’ambizione non solo di guarire da alcuni sintomi psicologici ma anche di cambiare “il destino delle persone”. Questa espressione, che può sembrare bizzarra e misteriosa, in realtà è abbastanza banale: tutti noi seguiamo inconsapevolmente una sorta di “copione” nella nostra vita. Come i personaggi della Commedia dell’Arte, la nostra libertà è limitata: possiamo decidere le nostre azioni ma, normalmente, rimanendo all’interno del nostro personaggio. Arlecchino è libero di scegliere se fare la corte a Colombina, ma rimarrà per sempre solo un servo furbo. Questi personaggi – al massimo ciascuno di noi ne recita due o tre – non ci sono stati assegnati da un autore misterioso ma vengono dal nostro passato, in parte remotissimo (attraverso memorie che si tramandano nelle famiglie: pensate quando si dice di qualcuno che è “tutto suo nonno”) e in parte più recente (le esperienze dei primi anni e poi, piano piano, di tutta la vita). La psicoanalisi è una cura che si basa sull’assunzione che questi nostri tratti di carattere (i personaggi che inconsapevolmente recitiamo) siano responsabili del modo in cui viviamo ed entriamo in relazione con gli altri e, infine, anche dei disturbi mentali che sviluppiamo.


La psicoanalisi cura in due modi, uno più esplicito e uno più sottile. Il modo più esplicito è quello di accompagnare il paziente prima a riconoscere e poi a ricostruire l’origine dei personaggi che recita, con l’obiettivo di aiutarlo a distaccarsi da loro, di diventare, in una parola, più libero dai propri condizionamenti interni. La psicoanalisi opera, però, anche in un modo più sottile: infatti, via via che si stabilisce una relazione tra il terapeuta e il paziente, quest’ultimo ripeterà con lo psicoanalista i comportamenti tipici che lo hanno portato ad ammalarsi. Lo psicoanalista avrà quindi modo di osservare lo sviluppo della malattia, per così dire, “dal vivo”, e quindi intervenire su una situazione presente, non del passato. Se il paziente non si ammala di nuovo, in una forma magari un po’ attenuata, il trattamento non funziona. In questo senso la psicoanalisi assomiglia molto ai vaccini.


La psicoanalisi è un trattamento adatto a tutti? Freud, l’inventore della psicoanalisi, pensava di no. Freud ha sostenuto varie volte che le malattie mentali più gravi, le cosiddette “psicosi” – schizofrenia e psicosi depressiva – non fossero curabili con la psicoanalisi perché – per rimanere alla metafora teatrale– il paziente sarebbe troppo immerso nel copione che sta recitando per potersi accorgere che è un copione. Bisogna però dire che molti pazienti trattati da Freud, rileggendo oggi i suoi casi clinici, erano in realtà sofferenti di disturbi psicotici. In generale, io non penso che la presenza di un disturbo mentale grave impedisca un approccio psicoanalitico, anche se bisogna usare speciali cautele e – nella gran parte dei casi – è indispensabile associare alla psicoterapia psicoanalitica anche farmaci specifici. Il vantaggio di una terapia associata è quello di poter usare i farmaci a dosaggi molto più bassi e, soprattutto, poterli modulare più finemente, evitando di stordire il paziente. Lo svantaggio, di cui bisogna che pazienti e le loro famiglie siano consapevoli, è che, normalmente, una psicoterapia per il trattamento di una psicosi dura tutta la vita, come l’insulina per un diabetico o una protesi per chi ha perso un arto. Posso assicurare, però, di aver visto – grazie all’ associazione farmaci e psicoanalisi – pazienti anche gravissimi letteralmente rinascere; purtroppo solo sino a quando le famiglie, convinte che fossero guariti per sempre, non hanno fatto loro sospendere una delle due cure o entrambe, provocando disastri.


Freud affermava che vi fossero altre due controindicazioni alla psicoanalisi: l’età troppo avanzata e l’ignoranza o la poca intelligenza. Per quanto riguarda l’età, mi sento di dire che è una pura stupidaggine. In quasi quarant’anni di pratica clinica ho curato con ottimi risultati anche persone ultraottuagenarie, tra l’altro nella mia esperienza un trattamento psicoanalitico può ritardare la comparsa dei sintomi delle demenze senili (non curarli o impedirli ma dilazionarne l’apparizione). Anche la mancanza di cultura non è in nessun modo una controindicazione alla psicoanalisi: certo, lo psicoanalista deve sforzarsi di essere comprensibile e di non parlare in un gergo astruso, ma ciò non può che fare bene sia a lui, sia al paziente. Per quanto riguarda la poca intelligenza, è necessario, invece, intendersi: ad un paziente psicoanalitico - e ad uno psicoanalista! – non si richiede di essere geni ma devono possedere una caratteristica: la curiosità. Se una persona è del tutto disinteressata al mondo esteriore ed interiore, se manca ogni forma di curiosità verso sé e gli altri, difficilmente potrà fare psicoanalisi sia come terapeuta sia come paziente. Queste persone annoiate dal mondo e non innamorate di nulla e di niente possono sembrare quasi normali all’apparenza, ma sono invece i malati più gravi, tetragoni ad ogni cura.


C’è infine una controindicazione alla psicoanalisi che valeva a tempi di Freud ma non tanto più oggi: la disponibilità economica e di tempo. Iniziare una psicoanalisi assomiglia ad iscriversi ad una palestra: a seconda delle condizioni iniziali, dell’impegno e delle capacità personali, si possono vedere risultati anche dopo poco tempo ma, in generale, bisogna attendere anni per raggiungere una condizione ideale. Questo implica un impegno economico protratto che alcuni possono trovare gravoso. Oggi, tuttavia, è rarissimo che si chiedano più di una o due sedute alla settimana, i costi, quindi, sono enormemente ridotti rispetto agli esordi, quando Freud pretendeva cinque o sei sedute settimanali. Certo, impegnarsi per due o tre anni con uno psicoanalista può sembrare, comunque, un’enormità in termini di tempo ma è quello che già facciamo iscrivendoci, ad esempio, ad una scuola di musica o di lingue. Del resto, questo tempo, commisurato al periodo in cui abbiamo convissuto con i nostri disturbi, è spesso ancora breve.


Quando, allora, la psicoanalisi è la cura giusta per una persona? Quasi sempre, soprattutto se il terapeuta ha l’umiltà di non escludere altre forme di terapia. Un paziente che, ad esempio, non riesce a dare un esame universitario per un “blocco psicologico” potrà essere aiutato anche con metodi non psicoanalitici (farmaci, suggestione, consigli, ordini), però è fondamentale che il terapeuta abbia un approccio psicoanalitico perché deve capire se il blocco può essere superato senza scatenare disturbi più gravi. Non di rado mi sono capitati pazienti inviati da colleghi non psicoanalisti che erano riusciti a “sbloccare” un malato ma al prezzo di provocare in lui tremende crisi di panico. Non bisogna mai scordarsi che ogni disturbo psicologico è il risultato di un bilanciamento tra diverse tendenze: prima di rompere questo equilibrio è necessario fare un conto prudente delle forze in campo.



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