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  • Immagine del redattoreEmilio Mordini

L'AVVENTO, IL TEMPO E L'ATTESA


Il Pordenone - Natività

𝗦𝗶𝗮𝗺𝗼 𝗶𝗻 𝘁𝗲𝗺𝗽𝗼 𝗱𝗶 𝗔𝘃𝘃𝗲𝗻𝘁𝗼. 𝗟'𝗔𝘃𝘃𝗲𝗻𝘁𝗼 𝗲̀ 𝗶𝗹 𝗽𝗲𝗿𝗶𝗼𝗱𝗼 𝗱𝗲𝗹𝗹’𝗮𝗻𝗻𝗼 𝗹𝗶𝘁𝘂𝗿𝗴𝗶𝗰𝗼 in cui i cristiani attendono la celebrazione del Natale di Gesù di Nazareth. Questo periodo è un momento di attesa non solo per i credenti ma per tutte le persone che vivono nel mondo occidentale. Chi non è credente attende – con piacere o con fastidio - le vacanze invernali, le feste, i dolci tradizionali, gli abeti colorati e le lucine, i regali, gli zampognari, le carole natalizie, il presepio, Jingle Bells e Dean Martin.


𝗟’𝗔𝘃𝘃𝗲𝗻𝘁𝗼 𝗲̀ 𝗹𝗮 𝗰𝗲𝗹𝗲𝗯𝗿𝗮𝘇𝗶𝗼𝗻𝗲 𝗱𝗲𝗹𝗹'𝗮𝘁𝘁𝗲𝘀𝗮. 𝗟𝗮 𝘀𝘂𝗮 𝗼𝗿𝗶𝗴𝗶𝗻𝗲 𝗲̀ 𝗺𝗼𝗹𝘁𝗼 𝗮𝗻𝘁𝗶𝗰𝗮 perché, come si sa, il giorno del Natale cristiano fu scelto per sovrapporsi a una festa dalle radici remotissime: la celebrazione del solstizio d'inverno, il giorno più breve dell'anno a partire dal quale le giornate ricominciano ad allungarsi. Si attende il solstizio d’inverno perché il suo arrivo pone fine alla lenta ma apparentemente inesorabile progressione della notte: il suo ripetersi ogni anno, annunzia che la luce non è vinta dalle tenebre, che il calore della vita ha la meglio sul gelo della morte.


𝗦𝗶𝗻𝗼 𝗮𝗱 𝗼𝗿𝗮 𝗵𝗼 𝘂𝘁𝗶𝗹𝗶𝘇𝘇𝗮𝘁𝗼 𝗶 𝘃𝗲𝗿𝗯𝗶 𝗮𝗹 𝗽𝗿𝗲𝘀𝗲𝗻𝘁𝗲, 𝗶𝗻 𝗲𝗳𝗳𝗲𝘁𝘁𝗶 𝗮𝘃𝗿𝗲𝗶 𝗱𝗼𝘃𝘂𝘁𝗼 𝘂𝘀𝗮𝗿𝗹𝗶 𝘁𝘂𝘁𝘁𝗶 𝗮𝗹 𝗽𝗮𝘀𝘀𝗮𝘁𝗼. Infatti, l’esperienza dell’Avvento fa parte sempre meno del nostro mondo. Appartiene poco persino ai cristiani, la cui maggioranza non lo percepisce più come tempo di penitenza, attesa e digiuno (fisico e spirituale). Per tutti gli altri, le cose vanno ancora peggio: sin da metà novembre, nelle nostre latitudini (ben prima negli Stati Uniti), inizia un’orgia di acquisti natalizi; le luminarie fanno mostra di sé per strade e negozi; dolci di ogni sorta, panettoni e torroni, straboccano dagli scaffali dei supermercati e sulle mense.


𝗟'𝗔𝘃𝘃𝗲𝗻𝘁𝗼 𝗲̀ 𝘀𝗼𝗹𝗼 𝗹𝗮 𝘃𝗶𝘁𝘁𝗶𝗺𝗮 𝗽𝗶𝘂̀ 𝗶𝗹𝗹𝘂𝘀𝘁𝗿𝗲 𝗱𝗶 𝘂𝗻𝗮 𝗰𝗮𝘁𝗮𝘀𝘁𝗿𝗼𝗳𝗲 𝗰𝗵𝗲 𝘀𝘁𝗮 𝘀𝗶 𝘀𝘁𝗮 𝘃𝗲𝗿𝗶𝗳𝗶𝗰𝗮𝗻𝗱𝗼 𝗾𝘂𝗮𝘀𝗶 𝗶𝗻𝗮𝘃𝘃𝗲𝗿𝘁𝗶𝘁𝗮:. la cancellazione dell'attesa. Quello che la nostra società non tollera più è l’idea stessa di dover attendere per soddisfare una qualsiasi voglia o bisogno. Non si tollera il differimento dei desideri: si mangia quando si ha fame, si dorme quando si ha sonno, ci si abbronza d'inverno e si va a sciare d'estate. I tempi dell'attesa sono tutti scomparsi: non solo l'Avvento, ma sono scomparsi i fidanzamenti, i tempi canonici per le vacanze, le ricorrenze e i giorni festivi.


𝗟𝗮 𝘃𝗶𝘁𝗮 𝗲̀ 𝘀𝗲𝗺𝗽𝗿𝗲 𝗺𝗲𝗻𝗼 𝘀𝗰𝗮𝗻𝗱𝗶𝘁𝗮 𝗱𝗮 𝗺𝗼𝗺𝗲𝗻𝘁𝗶 𝗮𝘁𝘁𝗲𝘀𝗶 𝗰𝗼𝗻 𝘁𝗿𝗲𝗽𝗶𝗱𝗮𝘇𝗶𝗼𝗻𝗲 e persino i piccoli eventi quotidiani (gli orari della sveglia mattutina, del sonno serale, dei pasti) sono diventati del tutto aleatori. Gli smartphone hanno poi dato il colpo di grazia anche alle attese più banali. Si sopporta così poco attendere, che si occupa subito il tempo guardando un telefono cellulare. Gli smartphone consentono alla maggioranza di vivere in uno stato di perenne trance ipnotica, in cui non si percepisce più lo spazio vuoto tra un fatto e il successivo.


𝗦𝗶 𝗽𝗼𝘁𝗿𝗲𝗯𝗯𝗲 𝗮 𝗾𝘂𝗲𝘀𝘁𝗼 𝗽𝘂𝗻𝘁𝗼 𝗽𝗲𝗻𝘀𝗮𝗿𝗲 𝗰𝗵𝗲 𝗹'𝗮𝘁𝘁𝗲𝘀𝗮 𝘀𝗶𝗮 𝘀𝘁𝗮𝘁𝗮 𝘀𝗮𝗰𝗿𝗶𝗳𝗶𝗰𝗮𝘁𝗮 𝗮𝗹𝗹'𝘂𝗿𝗴𝗲𝗻𝘇𝗮 𝗱𝗲𝗹𝗹𝗮 𝘀𝗼𝗱𝗱𝗶𝘀𝗳𝗮𝘇𝗶𝗼𝗻𝗲: dopo secoli di ascetismo, il desiderio, libero da ipocriti indugi, affermerebbe ora il suo diritto al godimento immediato. Perché attendere se il piacere è già presente, qui e ora, e basta solo coglierlo? Così fosse, la nostra epoca sarebbe la vera età dell’oro, il periodo più felice della storia umana. Ma non è così.


𝗜𝗹 𝗽𝗶𝗮𝗰𝗲𝗿𝗲 𝗰𝗵𝗲 𝗰𝗶 𝗲̀ 𝗼𝗳𝗳𝗲𝗿𝘁𝗼 𝗰𝗼𝗻 𝘁𝗮𝗻𝘁𝗮 𝗹𝗶𝗯𝗲𝗿𝗮𝗹𝗶𝘁𝗮̀ 𝗻𝗼𝗻 𝗴𝗶𝘂𝗻𝗴𝗲 𝗺𝗮𝗶 𝗮𝗹 𝗽𝗶𝗲𝗻𝗼 𝗴𝗼𝗱𝗶𝗺𝗲𝗻𝘁𝗼, anzi, i suoi effetti, come quelli di una droga, si attenuano rapidamente, richiedendo a ogni somministrazione una dose ancora maggiore. Dappertutto regna una profonda e diffusa insoddisfazione, di cui non vediamo le radici ma che mina alla base l’esistenza di molti. Persino la denatalità che affligge l’Occidente è segno di una perdita collettiva di gioia di vivere: si smette di donare ad altri la vita, quando si dubita che questa valga la pena di essere vissuta. Sopprimere l’attesa non ha liberato il desiderio ma lo sta uccidendo e qui si potrebbe persino citare il “𝘚𝘢𝘣𝘢𝘵𝘰 𝘥𝘦𝘭 𝘷𝘪𝘭𝘭𝘢𝘨𝘨𝘪𝘰” di Giacomo Leopardi.


𝗣𝗲𝗿 𝗰𝗼𝗺𝗽𝗿𝗲𝗻𝗱𝗲𝗿𝗲 𝗺𝗲𝗴𝗹𝗶𝗼 𝗰𝗼𝘀𝗮 𝘀𝗶𝗮 𝗹'𝗮𝘁𝘁𝗲𝘀𝗮 𝗲̀, 𝗽𝗲𝗿𝗼̀, 𝗻𝗲𝗰𝗲𝘀𝘀𝗮𝗿𝗶𝗼 𝗽𝗮𝗿𝗹𝗮𝗿𝗲 𝗮𝗱𝗲𝘀𝘀𝗼 𝗱𝗲𝗹 𝘁𝗲𝗺𝗽𝗼. San Tommaso sosteneva che esistessero due diverse misure della durata: la prima sarebbe l'eternità, che misura una durata sincrona, un istante infinito privo di dimensioni; la seconda sarebbe, invece, il tempo umano, che scorre ed è composto da “prima” e “dopo”. In altre parole, “prima” e “dopo” sono la misura di quel tipo di durata chiamata “tempo”. Ma “prima” e “dopo” sono sufficienti a spiegare il tempo? Non lo sono, perché hanno bisogno di una pausa che li separi. Questa pausa tra “prima” e “dopo” noi la chiamiamo "presente". Il presente esiste e non esiste. Non esiste perché si trasforma in continuazione, scorre dal “prima” al “dopo” senza che si possa mai afferrare. Tuttavia, esiste perché, se non ci fosse, non si potrebbe più distinguere il prima dal dopo e il tempo andrebbe davvero 𝘰𝘶𝘵 𝘰𝘧 𝘫𝘰𝘪𝘯𝘵, fuori dai cardini.


𝗣𝗮𝗿𝘁𝗲𝗻𝗱𝗼 𝗱𝗮𝗹𝗹𝗮 𝗰𝗼𝗻𝗰𝗲𝘇𝗶𝗼𝗻𝗲 𝗱𝗲𝗹 𝘁𝗲𝗺𝗽𝗼 𝗱𝗶 𝗦𝗮𝗻 𝗧𝗼𝗺𝗺𝗮𝘀𝗼, un grandissimo musicista dello scorso secolo, 𝗢𝗹𝗶𝘃𝗶𝗲𝗿 𝗠𝗲𝘀𝘀𝗶𝗮𝗲𝗻, sviluppò una teoria del ritmo come essenza della vita e dell'intero universo. La misura della durata che noi chiamiamo “tempo” è caratterizzata secondo Messiaen da una pausa, l’attesa, che separa il “prima” e il “dopo” creando un ritmo: “prima-attesa-dopo”. Questo ritmo originario è la vita nel suo continuo scorrere, la musica del creato da cui tutto nasce e fluisce. L'attesa non è una vera sospensione del tempo poiché anche nell'attesa esistono un prima e un dopo ma, tuttavia, è la cosa più simile a un tempo sospeso che gli esseri umani riescano a immaginare.


𝗜𝗹 𝘁𝗲𝗺𝗽𝗼 𝘀𝗼𝘀𝗽𝗲𝘀𝗼 𝗱𝗲𝗹𝗹’𝗮𝘁𝘁𝗲𝘀𝗮 𝗲̀ 𝘀𝘂𝗯𝗶𝘁𝗼 𝗽𝗼𝗽𝗼𝗹𝗮𝘁𝗼 𝗱𝗮 𝗽𝗲𝗻𝘀𝗶𝗲𝗿𝗶 𝗲 𝗶𝗺𝗺𝗮𝗴𝗶𝗻𝗶, 𝗱𝗲𝘀𝗶𝗱𝗲𝗿𝗶 𝗲 𝗽𝗮𝘂𝗿𝗲, che riguardano il “prima” appena trascorso e il “dopo” che sta per arrivare. Se si spera qualcosa che consideriamo bello e buono, l'attesa si chiama desiderio, fremito, eccitazione, entusiasmo. Se si desidera non avvenga qualcosa che ci sembra brutto e pericoloso, l’attesa diventa paura, timore, spavento, persino terrore (questo è, tra l'altro, il motivo per cui dinanzi a una paura immotivata, uno stato d’ansia o d'angoscia, bisognerebbe sempre indagare i desideri sottostanti). C'è poi una situazione in cui l’attesa è apparentemente vuota perché ogni desiderio sembra privo di attrattiva: si chiama noia ed è spesso il primo gradino verso la depressione. Il tempo psicologico si muove così in ogni direzione, sostenuto da un suo ritmo interno (prima-attesa-dopo) che è il ritmo del desiderio e della vita, i quali dunque coincidono. Questo è l’insegnamento che ho ricevuto dalla persona con cui tanti anni fa ho imparato a fare lo psicoanalista, che era, non a caso, anche un musicista.


𝗣𝗲𝗿𝗰𝗵𝗲́ 𝗶𝗹 𝗻𝗼𝘀𝘁𝗿𝗼 𝗺𝗼𝗻𝗱𝗼 𝗻𝗼𝗻 𝘀𝗼𝗽𝗽𝗼𝗿𝘁𝗮 𝗲 𝗰𝗲𝗿𝗰𝗮 𝗶𝗻 𝘁𝘂𝘁𝘁𝗶 𝗶 𝗺𝗼𝗱𝗶 𝗱𝗶 𝘀𝗼𝗽𝗽𝗿𝗶𝗺𝗲𝗿𝗲 𝗹’𝗮𝘁𝘁𝗲𝘀𝗮? Perché il desiderio e la felicità sono i suoi principali nemici, sono la minaccia che incombe su ogni suo dinamismo economico. Solo in apparenza la cosiddetta società dei consumi si basa sulla soddisfazione dei desideri, al contrario è una civiltà che si fonda su una perenne insoddisfazione. Senza il ritmo creato dall’attesa, il desiderio e il piacere svaniscono, proprio come svanisce qualsiasi musica senza pause tra le note: restano solo involucri vuoti, la "𝘴𝘵𝘰𝘳𝘪𝘢, 𝘳𝘢𝘤𝘤𝘰𝘯𝘵𝘢𝘵𝘢 𝘥𝘢 𝘶𝘯 𝘪𝘥𝘪𝘰𝘵𝘢, 𝘱𝘪𝘦𝘯𝘢 𝘥𝘪 𝘳𝘶𝘮𝘰𝘳𝘦 𝘦 𝘧𝘶𝘳𝘪𝘢, 𝘤𝘩𝘦 𝘯𝘰𝘯 𝘴𝘪𝘨𝘯𝘪𝘧𝘪𝘤𝘢 𝘯𝘶𝘭𝘭𝘢."


𝗣𝗲𝗻𝘀𝗮𝗻𝗱𝗼 𝘀𝗼𝗽𝗿𝗮𝘁𝘁𝘂𝘁𝘁𝗼 𝗮𝗹𝗹𝗮 𝗺𝗼𝗱𝗲𝗿𝗻𝗮 𝗯𝗶𝗼𝗺𝗲𝗱𝗶𝗰𝗶𝗻𝗮, 𝗚𝗶𝗼𝘃𝗮𝗻𝗻𝗶 𝗣𝗮𝗼𝗹𝗼 𝗜𝗜 𝗲 𝗹'𝗮𝗹𝗹𝗼𝗿𝗮 𝗰𝗮𝗿𝗱𝗶𝗻𝗮𝗹𝗲 𝗝𝗼𝘀𝗲𝗽𝗵 𝗥𝗮𝘁𝘇𝗶𝗻𝗴𝗲𝗿 parlarono della civiltà contemporanea come pervasa da una cultura di morte. Il nostro mondo è davvero sempre più un mondo di morte, non solo perché attraversato da innumerevoli guerre (non sarebbe una novità) e nemmeno perché il progresso tecnologico e scientifico si fa spesso strumento di morte più che di vita, ma anche perché è una società che, per alimentare un'economia drogata, ha necessità di abolire le attese creando solo ombre di desideri, larve tenute artificialmente in vita, feticci in apparenza potenti ma vuoti. Nessun essere umano può però tollerare a lungo l'assenza del desiderio, o la sua sostituzione con grottesche parodie, poiché il desiderio è il ritmo stesso della vita. Perso questo ritmo, ci si smarrisce nel tempo, si ha l’impressione di piombare in un’eternità opaca. L’inganno è rivelato dal fatto che noi oggi si vive in mezzo a cadaveri – oscenamente esposti in ogni momento da tutti i media, sotto forma di informazione o intrattenimento – ma si è rigorosamente protetti da ogni contatto con coloro che si stanno approssimando alla morte: confinati in istituzioni separate, ospedali, case di riposo, RSA, affinché non ci ricordino di quale stoffa è fatta la nostra piccola eternità stracciona.


𝗜𝗻𝗶𝘇𝗶𝗮, 𝗰𝗼𝘀𝗶̀, 𝘂𝗻𝗮 𝗰𝗼𝗿𝘀𝗮 𝗳𝗿𝗲𝗻𝗲𝘁𝗶𝗰𝗮 𝗲 𝗶𝗻𝘁𝗶𝗺𝗮𝗺𝗲𝗻𝘁𝗲 𝗱𝗶𝘀𝗽𝗲𝗿𝗮𝘁𝗮 𝗮𝗹𝗹𝗮 𝗿𝗶𝗰𝗲𝗿𝗰𝗮 𝗱𝗶 𝗺𝗶𝗹𝗹𝗲 𝗱𝗲𝘀𝗶𝗱𝗲𝗿𝗶, proprio perché la loro continua soddisfazione ci ubriaca, ci impedisce di pensare, in finale ci rende stupidi. Ma è un gioco pericoloso, come sapeva bene Teresa d’Avila e ripeteva Truman Capote: «𝘴𝘪 𝘷𝘦𝘳𝘴𝘢𝘯𝘰 𝘱𝘪𝘶̀ 𝘭𝘢𝘤𝘳𝘪𝘮𝘦 𝘱𝘦𝘳 𝘭𝘦 𝘱𝘳𝘦𝘨𝘩𝘪𝘦𝘳𝘦 𝘦𝘴𝘢𝘶𝘥𝘪𝘵𝘦 𝘤𝘩𝘦 𝘱𝘦𝘳 𝘲𝘶𝘦𝘭𝘭𝘦 𝘯𝘰𝘯 𝘢𝘤𝘤𝘰𝘭𝘵e». C’è un solo desiderio che potrebbe ridare tempo, ritmo, senso alla vita: tutti noi sappiamo qual è, ma ne abbiamo così paura che fingiamo di ignorarlo.


𝗔𝗻𝗰𝗵𝗲 𝗹’𝗮𝘁𝘁𝗲𝘀𝗮 𝗲 𝗶𝗹 𝘁𝗲𝗺𝗽𝗼 𝘂𝗻 𝗴𝗶𝗼𝗿𝗻𝗼 𝗳𝗶𝗻𝗶𝗿𝗮𝗻𝗻𝗼. L’Avvento, che ritorna ogni anno insieme al solstizio d’inverno, ci ricorda però che sarà la luce ad avere l’ultima parola.


𝗕𝘂𝗼𝗻 𝗡𝗮𝘁𝗮𝗹𝗲 𝗮 𝘁𝘂𝘁𝘁𝗶 𝘃𝗼𝗶!



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