GLI INDIFFERENTI
- Emilio Mordini
- 5 giorni fa
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𝗖𝗮𝘁𝘁𝗶𝘃𝗼 𝗲̀ 𝗮𝗴𝗴𝗲𝘁𝘁𝗶𝘃𝗼 𝗰𝗵𝗲 𝗱𝗲𝗿𝗶𝘃𝗮 𝗱𝗮𝗹 𝗹𝗮𝘁𝗶𝗻𝗼 𝗰𝗮𝗽𝘁𝗶𝘃𝘂𝘀, 𝗰𝗶𝗼𝗲̀ “𝗽𝗿𝗶𝗴𝗶𝗼𝗻𝗶𝗲𝗿𝗼”. Già nel latino del quinto, sesto secolo lo si trova usato di frequente in congiunzione con “𝘥𝘪𝘢𝘣𝘰𝘭𝘪” nella locuzione “𝘤𝘢𝘱𝘵𝘪𝘷𝘶𝘴 𝘥𝘪𝘢𝘣𝘰𝘭𝘪”, quindi “prigioniero del diavolo, del male” da cui il termine italiano usato pressoché unicamente per indicare qualcuno o qualcosa che è o arreca male.
𝗧𝗶 𝗰𝗵𝗶𝗲𝗱𝗼 𝘀𝗰𝘂𝘀𝗮, 𝗮𝗺𝗶𝗰𝗼 𝗹𝗲𝘁𝘁𝗼𝗿𝗲, 𝗽𝗲𝗿 𝗮𝘃𝗲𝗿 𝗶𝗻𝗶𝘇𝗶𝗮𝘁𝗼 𝗶𝗻 𝗺𝗼𝗱𝗼 𝗰𝗼𝘀𝗶̀ 𝗼𝘃𝘃𝗶𝗼 𝗲 𝗿𝗶𝘀𝗮𝗽𝘂𝘁𝗼. Se ho avuto bisogno di ricordare il latinuccio di questa etimologia, è perché nelle righe che seguono sarò costretto a smentirla. Dopo tanta riflessione e ancor più esperienza sono giunto, infatti, a concludere che i cattivi non sono tali perché schiavi dello “𝘴𝘱𝘪𝘳𝘪𝘵𝘰 𝘤𝘩𝘦 𝘯𝘦𝘨𝘢 𝘴𝘦𝘮𝘱𝘳𝘦 𝘵𝘶𝘵𝘵𝘰” ma, casomai, diventano suoi servi perché già sono cattivi.
𝗙𝘂 𝗔𝗿𝗿𝗶𝗴𝗼 𝗕𝗼𝗶𝘁𝗼 - 𝗯𝗶𝘇𝘇𝗮𝗿𝗿𝗮 𝗳𝗶𝗴𝘂𝗿𝗮 𝗱𝗶 𝗶𝘁𝗮𝗹𝗶𝗮𝗻𝗼 𝗿𝗶𝘀𝗼𝗿𝗴𝗶𝗺𝗲𝗻𝘁𝗮𝗹𝗲, 𝗱𝗶𝘃𝗶𝘀𝗼 𝘁𝗿𝗮 𝗚𝗮𝗿𝗶𝗯𝗮𝗹𝗱𝗶 𝗲 𝗪𝗮𝗴𝗻𝗲𝗿, 𝗩𝗲𝗿𝗱𝗶 𝗲 𝗹𝗮 𝘀𝗰𝗮𝗽𝗶𝗴𝗹𝗶𝗮𝘁𝘂𝗿𝗮 – 𝗮 𝗰𝗵𝗶𝗮𝗺𝗮𝗿𝗲 𝗰𝗼𝘀𝗶̀ 𝗶𝗹 𝗺𝗮𝗹𝗶𝗴𝗻𝗼 (Mefistofele. Libretto, Atto I, 1. www.librettidopera.it)
𝘚𝘰𝘯 𝘭𝘰 𝘚𝘱𝘪𝘳𝘪𝘵𝘰
𝘊𝘩𝘦 𝘯𝘦𝘨𝘢 𝘴𝘦𝘮𝘱𝘳𝘦, 𝘵𝘶𝘵𝘵𝘰;
𝘓'𝘢𝘴𝘵𝘳𝘰, 𝘪𝘭 𝘧𝘪𝘰𝘳.
𝘐𝘭 𝘮𝘪𝘰 𝘨𝘩𝘪𝘨𝘯𝘰 𝘦 𝘭𝘢 𝘮𝘪𝘢 𝘣𝘦𝘨𝘢
𝘛𝘶𝘳𝘣𝘢𝘯𝘰 𝘨𝘭𝘪 𝘰𝘻𝘪 𝘢𝘭 𝘊𝘳𝘦𝘢𝘵𝘰𝘳.
𝘝𝘰𝘨𝘭𝘪𝘰 𝘪𝘭 𝘕𝘶𝘭𝘭𝘢 𝘦 𝘥𝘦𝘭 𝘊𝘳𝘦𝘢𝘵𝘰
𝘓𝘢 𝘳𝘶𝘪𝘯𝘢 𝘶𝘯𝘪𝘷𝘦𝘳𝘴𝘢𝘭,
𝘌̀ 𝘢𝘵𝘮𝘰𝘴𝘧𝘦𝘳𝘢 𝘮𝘪𝘢,
𝘌̀ 𝘢𝘵𝘮𝘰𝘴𝘵𝘦𝘳𝘢 𝘮𝘪𝘢 𝘷𝘪𝘵𝘢𝘭,
𝘊𝘪𝘰̀ 𝘤𝘩𝘦 𝘤𝘩𝘪𝘢𝘮𝘢𝘴𝘪,
𝘊𝘪𝘰̀ 𝘤𝘩𝘦 𝘤𝘩𝘪𝘢𝘮𝘢𝘴𝘪 𝘱𝘦𝘤𝘤𝘢𝘵𝘰,
𝘔𝘰𝘳𝘵𝘦 𝘦 𝘔𝘢𝘭.
𝘙𝘪𝘥𝘰 𝘦 𝘢𝘷𝘷𝘦𝘯𝘵𝘰 𝘲𝘶𝘦𝘴𝘵𝘢 𝘴𝘪𝘭𝘭𝘢𝘣𝘢:
"𝘕𝘰!"
𝘚𝘵𝘳𝘶𝘨𝘨𝘰, 𝘵𝘦𝘯𝘵𝘰, 𝘳𝘶𝘨𝘨𝘰, 𝘴𝘪𝘣𝘪𝘭𝘰:
"𝘕𝘰!"
𝗜𝗹 𝗱𝗶𝗮𝘃𝗼𝗹𝗼 𝗱𝗶 𝗕𝗼𝗶𝘁𝗼 𝗮𝘀𝘀𝗼𝗺𝗶𝗴𝗹𝗶𝗮 𝗮 𝗾𝘂𝗲𝗹𝗹𝗼 𝗱𝗶 𝗖𝗮𝗿𝗱𝘂𝗰𝗰𝗶 ed entrambi sembrano già prefigurare i cattivi dei cartoni animati di Walt Disney e dell’epopea cinematografica di Star Wars.
𝗕𝗼𝗶𝘁𝗼, 𝗾𝘂𝗮𝗻𝗱𝗼 𝗱𝗲𝗳𝗶𝗻𝗶𝘃𝗮 𝗠𝗲𝗳𝗶𝘀𝘁𝗼𝗳𝗲𝗹𝗲 𝗹𝗼 𝘀𝗽𝗶𝗿𝗶𝘁𝗼 𝗰𝗵𝗲 𝗻𝗲𝗴𝗮, 𝗽𝗿𝗼𝗯𝗮𝗯𝗶𝗹𝗺𝗲𝗻𝘁𝗲 𝗽𝗲𝗻𝘀𝗮𝘃𝗮 𝗱𝗶 𝗰𝗶𝘁𝗮𝗿𝗲 𝗚𝗼𝗲𝘁𝗵𝗲 che, nel suo Mefistofele, aveva, invece, scritto con ben più sottigliezza “𝘝𝘰𝘯 𝘢𝘭𝘭𝘦𝘯 𝘎𝘦𝘪𝘴𝘵𝘦𝘳𝘯 𝘥𝘪𝘦 𝘷𝘦𝘳𝘯𝘦𝘪𝘯𝘦𝘯 𝘐𝘴𝘵 𝘮𝘪𝘳 𝘥𝘦𝘳 𝘚𝘤𝘩𝘢𝘭𝘬 𝘢𝘮 𝘸𝘦𝘯𝘪𝘨𝘴𝘵𝘦𝘯 𝘻𝘶𝘳 𝘓𝘢𝘴𝘵” (Di tutti gli spiriti che negano, quegli che mi dà minor noia è il beffardo- trad.it. G. Scalvini). Il Mefistofele di Goethe è tra gli spiriti che nega, ma non è nel dire “no!” che si esprime la sua caratteristica più precipua: per Goethe il diavolo è soprattutto uno 𝘚𝘤𝘩𝘢𝘭𝘬, cioè un buffone che fa scherzi maligni, un 𝘵𝘳𝘪𝘤𝘬𝘴𝘵𝘦𝘳, un servo astuto e ingannatore.
𝗜 𝗰𝗮𝘁𝘁𝗶𝘃𝗶 𝗻𝗼𝗻 𝘀𝗼𝗻𝗼 𝗽𝗿𝗶𝗴𝗶𝗼𝗻𝗶𝗲𝗿𝗶 𝗱𝗶 𝗰𝗼𝗹𝘂𝗶 𝗰𝗵𝗲 𝘃𝘂𝗼𝗹𝗲 “𝗶𝗹 𝗡𝘂𝗹𝗹𝗮 𝗲 𝗱𝗲𝗹 𝗖𝗿𝗲𝗮𝘁𝗼 𝗹𝗮 𝗿𝘂𝗶𝗻𝗮 𝘂𝗻𝗶𝘃𝗲𝗿𝘀𝗮𝗹!”, semmai lo diventeranno in seguito, strada facendo. I veri cattivi iniziano la loro carriera di malvagi non come prigionieri del Male ma del beffardo, del buffone che butta ogni cosa in burla e nulla prende mai sul serio. Il simpaticone che la sa lunga su tutto e non si fa mai “fregare” da nessuno.
𝗜 𝗽𝗿𝗶𝗴𝗶𝗼𝗻𝗶𝗲𝗿𝗶 𝗱𝗲𝗹 𝗯𝗲𝗳𝗳𝗮𝗿𝗱𝗼 𝗻𝗼𝗻 𝘃𝗮𝗻𝗻𝗼 𝗶𝗹 𝗴𝗶𝗿𝗼 𝗮 𝗰𝗼𝗺𝗺𝗲𝘁𝘁𝗲𝗿𝗲 𝘂𝗻 𝗺𝗮𝗹𝗲 𝗰𝗵𝗲 𝗳𝗮 𝗰𝗼𝗺𝗺𝘂𝗼𝘃𝗲𝗿𝗲 𝗹𝗲 𝗽𝗲𝗿𝘀𝗼𝗻𝗲 𝗱𝗶 𝗯𝘂𝗼𝗻 𝗰𝘂𝗼𝗿𝗲: raramente si macchiano di crimini o crudeltà clamorose, ancor meno capita di vederli opprimere vedove e orfani, ammesso che mai si accorgano della loro esistenza. I prigionieri del beffardo, infatti, sono gli indifferenti. Attraversano il mondo non toccati dai sentimenti: li vedono, li percepiscono, sanno riconoscere l’amore dall’ odio, l’amicizia dall’inimicizia, ma a loro interessano entrambi assai poco.
𝗟’𝗶𝗻𝗱𝗶𝗳𝗳𝗲𝗿𝗲𝗻𝘁𝗲 𝘀𝗶 𝘁𝗶𝗲𝗻𝗲 𝗹𝗼𝗻𝘁𝗮𝗻𝗼 𝗱𝗮𝗴𝗹𝗶 𝗮𝗹𝘁𝗿𝗶 𝗶𝗻 𝗺𝗼𝗱𝗼 𝗻𝗼𝗻 𝗮𝗽𝗽𝗮𝗿𝗶𝘀𝗰𝗲𝗻𝘁𝗲. In costoro non si percepisce né l’umor cupo del depresso né l’aridità di sentimenti dell’avaro. Non sono mai inutilmente crudeli perché non provano nessun piacere sadico nel veder gli altri soffrire: che qualcuno soffra o meno a loro poco importa. Poiché, spesso, sono persone ammodo fingono, però, di dispiacersi delle disgrazie altrui e, se possono essere d’aiuto senza troppo incomodarsi, talvolta danno persino una mano.
𝗡𝗼𝗻 𝗵𝗮𝗻𝗻𝗼 𝗾𝘂𝗮𝘀𝗶 𝗺𝗮𝗶 𝗹𝗮 𝘀𝗼𝘀𝗽𝗲𝘁𝘁𝗼𝘀𝗶𝘁𝗮̀ 𝗱𝗲𝗹 𝗽𝗮𝗿𝗮𝗻𝗼𝗶𝗰𝗼, 𝗺𝗮 𝗼𝘀𝘀𝗲𝗿𝘃𝗮𝗻𝗱𝗼𝗹𝗶 𝗰𝗼𝗻 𝗮𝘁𝘁𝗲𝗻𝘇𝗶𝗼𝗻𝗲 𝗰𝗶 𝘀𝗶 𝗮𝗰𝗰𝗼𝗿𝗴𝗲 𝗰𝗵𝗲 𝗱𝗶𝗳𝗳𝗶𝗱𝗮𝗻𝗼 𝘀𝗲𝗺𝗽𝗿𝗲, persino di coloro a cui li dovrebbero legare i sentimenti più teneri. La loro generosità e disponibilità non sono mai complete, resta sempre qualcosa di tagliente e duro tra loro e gli altri, qualcosa che non si ammorbidisce mai in nessuna situazione. Sono persone che difficilmente perdono la loro lucidità perché la loro fiducia è sempre parziale, pronta a essere ritirata al primo segnale di pericolo.
“𝗖𝗵𝗶 𝗽𝗲𝗿 𝗶𝗻𝗱𝗶𝗳𝗳𝗲𝗿𝗲𝗻𝘇𝗮 𝗻𝗼𝗻 𝗽𝗿𝗼𝘃𝗮 𝗻𝘂𝗹𝗹𝗮, 𝗱𝗲𝘃𝗲 𝗳𝗶𝗻𝗴𝗲𝗿𝗲” 𝗻𝗼𝘁𝗮𝘃𝗮 𝗠𝗼𝗿𝗮𝘃𝗶𝗮 𝗻𝗲𝗹 𝗿𝗼𝗺𝗮𝗻𝘇𝗼 𝗰𝗵𝗲 𝗱𝗲𝗱𝗶𝗰𝗼̀ 𝗮𝗴𝗹𝗶 𝗶𝗻𝗱𝗶𝗳𝗳𝗲𝗿𝗲𝗻𝘁𝗶. Costoro sono, infatti, veri maestri di dissimulazione, tali da giungere quasi a credere alle proprie finzioni. Nessun innamorato saprà recitare così bene la parte dell’innamorato di chi, invece, mai nella sua vita conobbe l’amore. Nessuno sbirro impersonerà la parte della guardia crudele e inesorabile quanto chi, in cuor suo, lo farà senza provare alcun sentimento né di piacere né di dolore o pietà e tantomeno di giustizia. Nessun sacerdote sarà più efficace nella sua pastorale di quello che fingerà una fede che in vita sua non solo non provò ma nemmeno mai cercò.
𝗚𝗹𝗶 𝗶𝗻𝗱𝗶𝗳𝗳𝗲𝗿𝗲𝗻𝘁𝗶 𝘀𝗼𝗻𝗼 𝗰𝗼𝗺𝗲 𝗾𝘂𝗲𝗹𝗹𝗲 𝗽𝗶𝗮𝗻𝘁𝗲, 𝗺𝘂𝗺𝗺𝗶𝗳𝗶𝗰𝗮𝘁𝗲 𝗲 𝘁𝗿𝗮𝘁𝘁𝗮𝘁𝗲 𝗶𝗻 𝗺𝗼𝗱𝗼 𝗱𝗮 𝗽𝗮𝗿𝗲𝗿𝗲 𝘃𝗶𝘃𝗲, in cui ci si può imbattere nelle sale riunioni dei consigli di amministrazione o negli uffici degli amministratori esecutivi. Sorprendono ogni volta per la loro somiglianza con la vita.
𝗣𝗲𝗿𝗳𝗲𝘁𝘁𝗮𝗺𝗲𝗻𝘁𝗲 𝗺𝗶𝗺𝗲𝘁𝗶𝘇𝘇𝗮𝘁𝗶, 𝗴𝗹𝗶 𝗶𝗻𝗱𝗶𝗳𝗳𝗲𝗿𝗲𝗻𝘁𝗶 𝗺𝗮𝗶 𝘀𝗮𝗿𝗲𝗯𝗯𝗲𝗿𝗼 𝗿𝗶𝗰𝗼𝗻𝗼𝘀𝗰𝗶𝗯𝗶𝗹𝗶 𝗻𝗼𝗻 𝗳𝗼𝘀𝘀𝗲 𝗽𝗲𝗿 𝘂𝗻 𝗶𝗻𝗱𝗶𝘇𝗶𝗼 𝗰𝗵𝗲 𝗶𝗻𝗲𝘃𝗶𝘁𝗮𝗯𝗶𝗹𝗺𝗲𝗻𝘁𝗲 𝘀𝗲𝗺𝗶𝗻𝗮𝗻𝗼 𝗮𝘁𝘁𝗼𝗿𝗻𝗼 𝗮 𝘀𝗲́: di riffa o di raffa, costoro non riescono a fare a meno di inserire nel loro discorso massime di scetticismo, commenti salaci sulla natura umana, proverbi pessimisti, sentenze amare sulla vita. Gli indifferenti amano il “pessimismo dell’intelligenza” e, unico loro vezzo, non riescono a evitare di farne sfoggio ogni qual volta che qualcuno gliene offre occasione.
𝗔𝗹𝗰𝘂𝗻𝗶 𝗱𝗶 𝗹𝗼𝗿𝗼 𝘀𝘃𝗶𝗹𝘂𝗽𝗽𝗮𝗻𝗼 𝗮𝗱𝗱𝗶𝗿𝗶𝘁𝘁𝘂𝗿𝗮 𝗹’𝗶𝗻𝘀𝗼𝗽𝗽𝗼𝗿𝘁𝗮𝗯𝗶𝗹𝗲 𝗲 𝘀𝗰𝗼𝗿𝘁𝗲𝘀𝗲 𝗮𝗯𝗶𝘁𝘂𝗱𝗶𝗻𝗲 𝗱𝗶 𝗽𝗮𝗿𝗹𝗮𝗿𝗲 𝗾𝘂𝗮𝘀𝗶 𝘀𝗼𝗹𝗼 𝗽𝗲𝗿 𝗯𝗮𝘁𝘁𝘂𝘁𝗲, gettando ogni evento, anche il più tragico, in burla. Si difendono, poi, sostenendo di avere senso dell’umorismo e spirito ironico. In realtà la loro è una lingua morta che tiene a distanza la vita. Se cogliete in un vostro conoscente o prossimo questo segno inequivocabile, fuggite il più lontano possibile. Per quanto possa essere intelligente, spiritoso e di gradevole compagnia, avete incontrato il demonio.
“𝘎𝘭𝘪 𝘢𝘭𝘵𝘳𝘪 𝘤𝘩𝘪𝘢𝘮𝘢𝘯𝘰 𝘪𝘭 𝘥𝘪𝘧𝘧𝘪𝘥𝘦𝘯𝘵𝘦 𝘤𝘰𝘭 𝘯𝘰𝘮𝘦 𝘥𝘪 «𝘤𝘪𝘯𝘪𝘤𝘰», 𝘮𝘢 𝘪𝘭 𝘴𝘶𝘰 𝘮𝘰𝘥𝘰 𝘥𝘪 𝘷𝘪𝘷𝘦𝘳𝘦 𝘦̀ 𝘱𝘳𝘰𝘱𝘳𝘪𝘰 𝘭’𝘰𝘱𝘱𝘰𝘴𝘵𝘰 𝘥𝘪 𝘲𝘶𝘦𝘭𝘭𝘰 𝘥𝘦𝘪 𝘤𝘢𝘯𝘪: 𝘪𝘳𝘳𝘪𝘮𝘦𝘥𝘪𝘢𝘣𝘪𝘭𝘮𝘦𝘯𝘵𝘦 𝘦𝘯𝘵𝘶𝘴𝘪𝘢𝘴𝘵𝘪 𝘥𝘪 𝘵𝘶𝘵𝘵𝘰 𝘤𝘪𝘰̀ 𝘤𝘩𝘦 𝘦̀ 𝘥𝘢𝘳𝘦 𝘰 𝘳𝘪𝘤𝘦𝘷𝘦𝘳𝘦 𝘢𝘮𝘰𝘳𝘦.” (S. Gindro, De vita solitaria - Psicoanalisi contro n. 74 – luglio, 1991).
𝗖𝗼𝘀𝗶̀, 𝗰𝗼𝗺𝗲 𝗼𝗿𝗺𝗮𝗶 𝗱’𝗮𝗯𝗶𝘁𝘂𝗱𝗶𝗻𝗲, 𝗱𝗲𝗱𝗶𝗰𝗼 𝗮𝗻𝗰𝗵𝗲 𝗾𝘂𝗲𝘀𝘁’𝗮𝗻𝗻𝗼 𝗶𝗹 𝗺𝗶𝗼 𝗽𝗼𝘀𝘁 𝗱𝗶 𝗺𝗲𝘇𝘇’𝗮𝗴𝗼𝘀𝘁𝗼 𝗮𝗶 𝗻𝗼𝘀𝘁𝗿𝗶 𝗮𝗺𝗶𝗰𝗶 𝗰𝗮𝗻𝗶. Ora, lettore, forse ti aspetteresti che io argomentassi che, se i cani sono l’opposto degli indifferenti e gli indifferenti sono diavoli, allora i cani sono angeli.
𝗣𝗼𝘁𝗿𝗲𝗯𝗯𝗲 𝗲𝘀𝘀𝗲𝗿𝗲 𝘂𝗻'𝗶𝗱𝗲𝗮, 𝗺𝗮, 𝗮𝗵𝗶𝗺𝗲́, 𝗶 𝘀𝗶𝗹𝗹𝗼𝗴𝗶𝘀𝗺𝗶 𝗻𝗼𝗻 𝘀𝗼𝗻𝗼 𝘀𝘁𝗮𝘁𝗶 𝗺𝗮𝗶 𝗶𝗹 𝗺𝗶𝗼 𝗳𝗼𝗿𝘁𝗲. Così , io mi fermo qui: ti auguro buon ferragosto e prego che la 𝗠𝗮𝗱𝗼𝗻𝗻𝗮 𝗱𝗲𝗹𝗹’𝗔𝘀𝘀𝘂𝗻𝘁𝗮 ci preservi tutti dall’indifferenza.