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TUTTI MORIREMO A STENTO

  • Immagine del redattore: Emilio Mordini
    Emilio Mordini
  • 12 mag
  • Tempo di lettura: 4 min
Pisanello, San Giorgio e la principessa (dettaglio)
Pisanello, San Giorgio e la principessa (dettaglio)

Oggi (12 maggio 2025), sul Corriere della Sera, Ferruccio de Bortoli rivolge “𝘶𝘯’𝘢𝘤𝘤𝘰𝘳𝘢𝘵𝘢 𝘪𝘴𝘵𝘢𝘯𝘻𝘢 𝘢𝘪 𝘱𝘳𝘦𝘴𝘪𝘥𝘦𝘯𝘵𝘪 𝘥𝘦𝘭𝘭𝘦 𝘊𝘢𝘮𝘦𝘳𝘦, 𝘐𝘨𝘯𝘢𝘻𝘪𝘰 𝘓𝘢 𝘙𝘶𝘴𝘴𝘢 𝘦 𝘓𝘰𝘳𝘦𝘯𝘻𝘰 𝘍𝘰𝘯𝘵𝘢𝘯𝘢, 𝘱𝘦𝘳𝘤𝘩𝘦́ 𝘳𝘪𝘤𝘩𝘪𝘢𝘮𝘪𝘯𝘰, 𝘤𝘰𝘯 𝘭𝘢 𝘭𝘰𝘳𝘰 𝘢𝘶𝘵𝘰𝘳𝘦𝘷𝘰𝘭𝘦𝘻𝘻𝘢, 𝘪 𝘤𝘰𝘭𝘭𝘦𝘨𝘩𝘪 𝘭𝘦𝘨𝘪𝘴𝘭𝘢𝘵𝘰𝘳𝘪 𝘢 𝘥𝘪𝘴𝘤𝘶𝘵𝘦𝘳𝘦 𝘦 𝘷𝘰𝘵𝘢𝘳𝘦” una legge sul suicidio assistito.


𝗜𝗹 𝘀𝘂𝗶𝗰𝗶𝗱𝗶𝗼 𝗮𝘀𝘀𝗶𝘀𝘁𝗶𝘁𝗼 𝗱𝗶𝗳𝗳𝗲𝗿𝗶𝘀𝗰𝗲 𝗱𝗮𝗹𝗹’𝗲𝘂𝘁𝗮𝗻𝗮𝘀𝗶𝗮 𝗶𝗻 𝗾𝘂𝗮𝗻𝘁𝗼 𝗶𝗻 𝗾𝘂𝗲𝘀𝘁’𝘂𝗹𝘁𝗶𝗺𝗮 𝗶𝗹 𝗺𝗲𝗱𝗶𝗰𝗼 𝘀𝗼𝗺𝗺𝗶𝗻𝗶𝘀𝘁𝗿𝗮 𝗹𝘂𝗶 𝘀𝘁𝗲𝘀𝘀𝗼 𝘂𝗻 𝗳𝗮𝗿𝗺𝗮𝗰𝗼 letale mentre nel suicidio assistito il medico mette a disposizione del malato i medicinali necessari a morire che il malato assumerà per proprio conto. Se ora, amico lettore, mi chiedi se vi è tra le due una grande differenza, l’unica risposta che so darti si riferisce all’ipocrisia che domina tutta questa materia. Ma andiamo avanti.


𝗚𝗶𝗮̀ 𝗻𝗲𝗹 𝟮𝟬𝟭𝟵, 𝗹𝗮 𝗖𝗼𝗿𝘁𝗲 𝗖𝗼𝘀𝘁𝗶𝘁𝘂𝘇𝗶𝗼𝗻𝗮𝗹𝗲 𝗶𝗻 𝘂𝗻𝗮 𝘀𝘂𝗮 𝘀𝗲𝗻𝘁𝗲𝗻𝘇𝗮 𝗮𝘃𝗲𝘃𝗮 𝗱𝗲𝗰𝗿𝗲𝘁𝗮𝘁𝗼 le quattro condizioni che rendono lecito il suicidio assistito (ma non, per ora, l’eutanasia):

1. la presenza di una patologia irreversibile;

2. una grave sofferenza fisica e psichica;

3. la piena capacità di prendere decisioni libere e consapevoli;

4. la dipendenza da trattamenti di sostegno vitale.


𝗦𝗶𝗻𝗼𝗿𝗮, 𝗽𝗲𝗿𝗼̀, 𝗻𝗲𝘀𝘀𝘂𝗻𝗮 𝗿𝗲𝗴𝗶𝗼𝗻𝗲 𝗵𝗮 𝗮𝗻𝗰𝗼𝗿𝗮 𝗿𝗲𝗰𝗲𝗽𝗶𝘁𝗼 𝗾𝘂𝗲𝘀𝘁𝗮 𝘀𝗲𝗻𝘁𝗲𝗻𝘇𝗮, a eccezione della regione Toscana. Ora il governo pare abbia impugnato la legge regionale toscana contestandone la legittimità ed è questo il senso dell’accorato appello del giornalista del Corriere della Sera.


𝗜𝗼 𝗽𝗲𝗻𝘀𝗼 𝘁𝘂𝘁𝘁𝗼 𝗶𝗹 𝗺𝗮𝗹𝗲 𝗽𝗼𝘀𝘀𝗶𝗯𝗶𝗹𝗲 𝗱𝗶 𝗾𝘂𝗮𝗹𝘀𝗶𝗮𝘀𝗶 𝗹𝗲𝗴𝗴𝗲 che normi il fin di vita: di ciò mi è capitato di scrivere sia in contesti accademici italiani e internazionali, sia su questa bacheca. Mi limito, quindi, a far notare come almeno tre dei quattro criteri stabiliti dalla Corte Costituzionale siano del tutto opinabili:

𝟭) “𝗽𝗿𝗲𝘀𝗲𝗻𝘇𝗮 𝗱𝗶 𝘂𝗻𝗮 𝗽𝗮𝘁𝗼𝗹𝗼𝗴𝗶𝗮 𝗶𝗿𝗿𝗲𝘃𝗲𝗿𝘀𝗶𝗯𝗶𝗹𝗲”: le patologie irreversibili – dall’alopecia androgena sino al diabete di tipo 2 - sono molto più numerose di quelle reversibili, questo criterio è di per sé privo di senso medico; non è l’irreversibilità ciò che conta ma, eventualmente, la “curabilità”;

𝟮) “𝗴𝗿𝗮𝘃𝗲 𝘀𝗼𝗳𝗳𝗲𝗿𝗲𝗻𝘇𝗮 𝗳𝗶𝘀𝗶𝗰𝗮 𝗲 𝗽𝘀𝗶𝗰𝗵𝗶𝗰𝗮”: la valutazione di cosa sia la sofferenza fisica e ancora più psichica è altamente soggettiva e non può essere assunta a criterio di giudizio. In altre parole, la “gravità” della sofferenza scaturisce da una molteplicità di fattori personali, indipendenti dalla malattia “principale”, che possono essere manipolati in mille modi sia per aiutare un malato sia per portarlo alla più totale disperazione;

𝟯) “𝗽𝗶𝗲𝗻𝗮 𝗰𝗮𝗽𝗮𝗰𝗶𝘁𝗮̀ 𝗱𝗶 𝗽𝗿𝗲𝗻𝗱𝗲𝗿𝗲 𝗱𝗲𝗰𝗶𝘀𝗶𝗼𝗻𝗶 𝗹𝗶𝗯𝗲𝗿𝗲 𝗲 𝗰𝗼𝗻𝘀𝗮𝗽𝗲𝘃𝗼𝗹𝗶”: questo terzo criterio, non fosse obbrobriosamente offensivo per qualsiasi persona sofferente, sarebbe ridicolo. Come si fa a ritenere capace “di prendere decisioni libere e consapevoli” un malato giunto a volere morire a causa della sua malattia? Come si fa a essere a tal punto insipienti o in malafede da pensare che una sofferenza così grande, quanto quella richiesta dal criterio precedente, lasci sostanzialmente intatte libertà e consapevolezza? Chi ha scritto una simile stupidaggine ha mai avuto in vita sua un banale mal di denti o un attacco di emicrania?


𝗜𝗻 𝗱𝗲𝗳𝗶𝗻𝗶𝘁𝗶𝘃𝗮, 𝗶𝗹 𝗺𝗶𝗼 𝗽𝘂𝗻𝘁𝗼 𝗱𝗶 𝘃𝗶𝘀𝘁𝗮 𝗲̀ 𝗲𝗺𝗶𝗻𝗲𝗻𝘁𝗲𝗺𝗲𝗻𝘁𝗲 𝗽𝗿𝗮𝘁𝗶𝗰𝗼: dinanzi a criteri così vaghi e manipolabili, non mi fido (e consiglio a tutti di non fidarsi) di dare a questi medici, infermieri, funzionari regionali, che tutti noi conosciamo, la facoltà di “aiutarci a commettere suicidio”, tanto più in un mondo in cui, con buona probabilità, giungeremo alla vecchiaia e alla disabilità senza un’efficace rete familiare e sociale di sostegno e protezione.


𝗜𝗻𝘀𝗼𝗺𝗺𝗮, 𝘀𝗲 𝗽𝗿𝗼𝗽𝗿𝗶𝗼 𝗱𝗲𝗰𝗶𝗱𝗲𝘀𝘀𝗶 𝗺𝗮𝗶 𝗱𝗶 𝘀𝘂𝗶𝗰𝗶𝗱𝗮𝗿𝗺𝗶 (e non entrando ora in merito a nessun'altra considerazione d'ordine morale, umano e religioso), allora preferirei farlo con l’aiuto di un amico o di un familiare e, se non avessi nessuno, mi butterei giù per la tromba delle scale come fece Monicelli, ma mai mi affiderei al Servizio Sanitario Nazionale (adesso qualche stupido dal sangue di rana obietterà che un amico o un familiare che mi aiutassero sarebbero perseguibili per legge: ma se il loro amore per me si arrestasse davanti a un tale, evitabilissimo, rischio, allora mille volte meglio non chiedere il loro aiuto e far da solo).


𝗧𝘂𝘁𝘁𝗮𝘃𝗶𝗮, 𝗻𝗼𝗻 𝗲𝗿𝗮 𝗱𝗶 𝗾𝘂𝗲𝘀𝘁𝗼 𝗰𝗵𝗲 𝘃𝗼𝗹𝗲𝘃𝗼 𝗽𝗮𝗿𝗹𝗮𝗿𝗲, 𝗺𝗮 𝗱𝗲𝗹 𝗽𝗲𝗿𝗰𝗵𝗲́ 𝗰𝗼𝘀𝗶̀ 𝘁𝗮𝗻𝘁𝗲 𝗮𝗻𝗶𝗺𝗲 𝗯𝗲𝗹𝗹𝗲 si indignino e facciano accorati appelli affinché vi sia una legge che regoli oggi il suicidio assistito e, domani, l’eutanasia. Molti pensano che sia perché il carico di vecchi e malati cronici che la nostra società produce sia ormai insostenibile e che una persona, uscita dal ciclo economico, diventi inutile e debba essere rapidamente eliminata. Probabilmente è così. Il prezzo che si paga ai progressi della tecnologia biomedica è che il numero di malati cronici (irreversibili) e vecchi fragili (ancora più irreversibili) continua e continuerà a crescere.


𝗦𝗶 𝗽𝗼𝘁𝗿𝗲𝗯𝗯𝗲, 𝗽𝗲𝗿𝗼̀, 𝗼𝗯𝗶𝗲𝘁𝘁𝗮𝗿𝗲 𝗰𝗵𝗲 𝗻𝗼𝗻 𝗰’𝗲̀ 𝗮𝗹𝗰𝘂𝗻 𝗯𝗶𝘀𝗼𝗴𝗻𝗼 𝗰𝗵𝗲 𝗙𝗲𝗿𝗿𝘂𝗰𝗰𝗶𝗼 𝗱𝗲 𝗕𝗼𝗿𝘁𝗼𝗹𝗶 lanci accorate istanze e che Marco Cappato accompagni, tra una conferenza stampa e l’altra, qualche sventurato in Svizzera. Basterebbero un’epidemia ogni tanto (così si smaltiscono anche le scorte di tachipirina), qualche vaccino o altro farmaco sperimentale o, molto più banalmente, liste di attesa interminabili che condannino a morte lenta chi non ha risorse per pagarsi da solo le cure. Perché affannarsi, allora, per introdurre nelle legislazioni nazionali suicidio assistito ed eutanasia?


𝗣𝗲𝗿𝗰𝗵𝗲́ 𝗻𝗼𝗻 𝗯𝗮𝘀𝘁𝗮 𝗹𝗶𝗯𝗲𝗿𝗮𝗿𝘀𝗶 𝗱𝗮 𝗰𝗮𝗿𝗶𝗰𝗵𝗶 𝗲𝗰𝗼𝗻𝗼𝗺𝗶𝗰𝗶 𝗰𝗵𝗲 𝗿𝗮𝗹𝗹𝗲𝗻𝘁𝗮𝗻𝗼 𝗹’𝗲𝗰𝗼𝗻𝗼𝗺𝗶𝗮, bisogna farlo anche in modo “pulito”. Non siamo più nell’epoca di 𝘍𝘳𝘢𝘯𝘤̧𝘰𝘪𝘴 𝘝𝘪𝘭𝘭𝘰𝘯, quando i cadaveri degli impiccati venivano lasciati pendolare alle intemperie e ai corvi, alla pioggia e al sole, sinché dei loro corpi restavano soltanto le ossa. Moriremo tutti a stento (per parafrasare la versione italiana de 𝘓𝘢 𝘣𝘢𝘭𝘭𝘢𝘥𝘦 𝘥𝘦𝘴 𝘱𝘦𝘯𝘥𝘶𝘴 cantata da Fabrizio De Andrè https://shorturl.at/Ctegp), d’accordo: ma senza turbare la coscienza dei buoni e dei compassionevoli. Lo faremo in silenzio, nel sottoscala di una ASL.

 
 
 
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